Mamme lavoratrici: ma quanto è difficile la vita in un Paese che non ti aiuta?

Mamme sempre più divise fra lavoro e famiglia: un ruolo, quello di madre lavoratrice, da vera equilibrista, che si volteggia fra i sensi di colpa e una vita tutta di corsa.

Al lavoro domestico, nella fascia d’età tra i 25 e i 44 anni, le donne dedicano 3 ore e 25 minuti al giorno, contro un’ora e 22 minuti degli uomini. Lo stesso vale per il lavoro riservato alla cura dei familiari conviventi, in particolare dei figli fino a 17 anni: 2 ore e 16 minuti al giorno è il tempo impiegato dalle donne, contro un’ora e 29 minuti degli uomini. La maternità è vissuta spesso con difficoltà, i servizi per l’infanzia sono pochi e/quasi assenti. Non è un’immagine esaltante quella che emerge da alcune indagini, e che restituisce il quadro di una condizione ancora molto critica.

Una condizione in cui le differenze territoriali sono tante: diventare mamme è più facile al Nord che nel Mezzogiorno, e la situazione negli anni è peggiorata. Le donne decidono di affrontare la maternità sempre più tardi (l’Italia è in vetta alla classifica europea per anzianità delle donne al primo parto con una media di 31 anni) e rinunciano sempre più spesso alla carriera professionale quando si tratta di dover scegliere tra lavoro e impegni familiari (il 37% delle donne tra i 25 e i 49 anni con almeno un figlio risulta inattiva). Inoltre, sono quasi assenti gli aiuti statali alle madri lavoratrici.

Il tasso di disoccupazione delle donne e delle madri è fra i più alti d’Europa, ci sono discriminazioni radicate nel mondo del lavoro e ancora esiste una forte differenza nel lavoro di cura tra madri e padri. Ciò determina la difficoltà di conciliare gli impegni familiari col lavoro, anche perché i servizi educativi per l’infanzia sono pochi. I bambini sotto i tre anni accolti in servizi comunali o finanziati dai comuni variano dal 18,3% del Centro al 4,1% del Sud, con differenze territoriali enormi. Nel Nord-Est e nel Centro Italia i posti censiti nelle strutture pubbliche e private coprono il 30% dei bambini sotto i 3 anni, al Nord-Ovest il 27%, mentre al Sud e nelle Isole si hanno rispettivamente 10 e 14 posti per cento bambini residenti. Mamme e bimbi, insomma, sono lasciati soli.

La classifica regionale redatta dall’ISTAT dice che è più facile diventare madri nelle Province autonome di Bolzano e Trento, che si piazzano rispettivamente al primo e secondo posto, seguite da Valle D’Aosta (3° posto), Emilia-Romagna (4°), Friuli-Venezia Giulia (5°) e Piemonte (6°). Nel Mezzogiorno, fanalino di coda della classifica, la Campania risulta la peggior regione “mother friendly”, preceduta da Sicilia (20° posto), Calabria, Puglia (18°) e Basilicata (17°). Certamente, dagli anni ’70 molta strada è stata fatta, ma molta se ne deve ancora fare.

Se da un lato, quindi, c’è un contesto socio-economico che presuppone sempre di più la necessità di un doppio reddito per far fronte alle spese familiari, dall’altro spesso le donne non hanno la possibilità di conciliare lavoro e vita domestica. Frequentemente, infatti, esse si ritrovano a dover scegliere tra la famiglia o la carriera, riscontrando difficoltà nella crescita professionale a causa delle problematiche relative alla gestione degli impegni domestici e di quelli lavorativi. È opportuno, allora, chiedersi quali siano i fattori che incidono su questi aspetti, ma anche cosa si può fare per superare gli elementi che ostacolano le pari opportunità relative al genere e perché le donne siano costrette a scegliere ancora tra il sogno di costruire una famiglia e il desiderio di fare carriera.

Rossana Caudullo

 

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