Massacrate, umiliate, ammazzate: in Italia è un bollettino di guerra

Sei donne uccise in una sola settimana, e il corpo di un’altra trovato a più di un mese dalla sua scomparsa. Un massacro, tanto che il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, nella sua relazione all’anno giudiziario, ha parlato di «emergenza nazionale».

Queste donne sono morte per mano dei loro compagni, non sono state uccise durante una rapina, non sono rimaste vittime di un incidente stradale. Sono mogli, fidanzate, figlie e amanti ammazzate in quanto tali: si tratta, quindi, di FEMMINICIDI.

Niente a che fare con i “maschicidi” tirati in ballo dal giornale “Libero”, qualche giorno fa.

Quel titolo “Più maschicidi che femminicidi” è «un oltraggio alla memoria delle centinaia di vittime di femminicidio» ha commentato la senatrice del Pd Valeria Valente, presidente della Commissione d’inchiesta sul Femminicidio, che ha aggiunto: «Gli uomini non vengono uccisi dalle loro compagne ed ex compagne. Le donne sì».

Facciamo un piccolo riassunto:

A Mussomeli, Caltanissetta, un uomo ha ammazzato la compagna e la figlia 27enne della donna, poi si è sparato. A Genova una donna è stata uccisa da un uomo (forse l’ex marito) che poi ha tentato il suicidio. Un’altra è morta dopo tre giorni di violenze fisiche subite dal marito e una 28enne incinta è stata trovata senza vita. Il marito è stato arrestato. Nel Bresciano è stata trovata senza vita Francesca Fantoni, l’uomo che l’ha uccisa ha confessato dopo due giorni. Ad Alghero, Speranza Ponti, scomparsa mesi fa, è stata ritrovata cadavere: il fidanzato è in stato di fermo.

A questo punto si muore perché si è donne e le pene più severe non bastano, bisogna rafforzare le misure di protezione per mettere in sicurezza tutte le vittime. E’ fondamentale, innanzitutto, credere alle donne quando denunciano e accoglierle in maniera adeguata quando lo fanno. E’ necessario anche raggiungere la parità di salario e di occupazione, perché fino a quando le donne non saranno economicamente indipendenti e non avranno i mezzi per fuggire dalla violenza del partner molte resteranno bloccate all’interno di un matrimonio violento per proteggere i figli. Altre, non trovandosi accolte adeguatamente, rimetteranno la denuncia, come è accaduto ad una donna uccisa in questi giorni che aveva sporto querela, ma si era pentita ed aveva ripreso la relazione con il partner violento.

A questo proposito, chiediamo alla nostra psicoterapeuta, la dott.ssa Deborah Giombarresi, perché a volte le donne faticano a lasciare una relazione violenta.

“Ritirano le denunce perché credono che lui cambierà, che quella sarà l’ultima volta. Molto probabilmente, – afferma – dopo la denuncia lui avrà implorato “amore eterno” e buttato in mezzo frasi come “ci sono i bambini”. Ecco, quando ci sono i figli in mezzo diventa tutto più complesso, perché nessuno vuole togliere il padre ai propri figli! E così, nell’attesa di quel cambiamento, si preferisce il silenzio e ritirare le denunce fatte con un lucido coraggio”.

Ma perché ritirano le denunce?

“Per senso di colpa. Paradossale, ma reale. La donna vittima di violenza si sente in colpa e arriva a credere che, in qualche modo, ha provocato la reazione di lui. “Se io non gli avessi risposto in maniera così disinteressata, di certo non si sarebbe arrabbiato così” pensano, oppure “sta passando un brutto momento e io non riesco a capirlo”. Il punto è questo: in genere, la donna vittima di violenza non accetta che l’uomo che ama può farle così male. In effetti è inaccettabile, così è come se costruisse dei meccanismi di difesa tali da scagionarlo. Perché è più facile pensare “sono io a non fare e a non essere abbastanza”, ma accettare che l’uomo che si ama faccia del male è intollerabile. Così ci si difende, si lotta con sé stesse, e non sempre queste lotte hanno un lieto fine.

Rossana Caudullo – Avvocato

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: