E’ un vero bollettino di guerra: 42 donne uccise in sei mesi

Perché veniamo uccise nonostante le denunce di violenza domestica?

Dai titoli di giornale leggiamo che spesso le donne avevano denunciato e che il processo era in corso. Molte volte, però, troppe volte, il sistema si inceppa e nonostante le vittime seguano l’iter previsto dalla legge non riescono a sfuggire alla violenza domestica e alla morte per mano di quell’uomo che avevano denunciato.

PERCHE’ PARLIAMO DI FEMMINICIDIO

Con il termine “femminicidio” media e istituzioni indicano una precisa dinamica di potere maschile che quando giunge al suo apice comporta la morte della donna. Si riferisce quindi al movente, non tutte le donne che vengono uccise sono vittime di femminicidio ma solo quelle che hanno o hanno avuto una relazione sentimentale con il loro carnefice. Ma cos’è la violenza di genere cioè quella violenza che scaturisce proprio dall’essere donna?

La violenza di genere è il frutto di un retaggio culturale che impone la netta distinzione dei ruoli dell’uomo e della donna (binarismo) e secondo cui l’uno possiede l’altra e la domina: quando un uomo violento percepisce che la donna si sta allontanando dal suo possesso cerca di fermarla in tutti i modi, anche ponendo fine alla sua vita.

PERCHE’ LE DONNE MUOIONO DI FEMMINICIDIO NONOSTANTE ABBIANO DENUNCIATO?

Purtroppo il processo penale ha dei tempi lunghi. Come se non bastasse, i maltrattanti vengono condannati a pene moderate, pene per le quali è prevista la sospensione proprio in ragione della breve durata, indipendentemente dal reato.

Ma capita anche che il processo si concluda con un nulla di fatto: dalla sospensione della pena perché si trattava del primo reato fino all’archiviazione della querela. Così il maltrattante si sente legittimato a fare di più, e la donna invece ha perduto ogni fiducia e spesso non denuncia. Nei processi civili per la separazione, anche in presenza di episodi di aggressione o maltrattamenti, si arriva alla pressione affinché si trovi una mediazione per il bene dei figli. La violenza contro le donne non è un raptus nè una malattia, ma è l’ espressione di una sub cultura infarcita  di stereotipi sociali. Nessuno dei colpevoli  che abbiamo incontrato ha mai ammesso di aver sbagliato: tutti incolpano le donne raccontando di atteggiamenti inadeguati.

E la cosa ancora più assurda  è che lo pensano anche le donne!

Dalla indagine condotta dalle operatrici di Donne a Sud sul territorio di Vittoria è emerso che le donne (soprattutto nella fascia di età sopra i 40 anni) hanno dichiarato che, di sicuro, per suscitare la rabbia dell’uomo vi è una responsabilità della donna che non è una brava madre o una brava moglie.

È chiaro che c’è un problema: la cultura patriarcale è ancora profondamente radicata sia negli uomini che nelle donne, che si assumono le colpe della violenza che subiscono.

Questa mentalità va scardinata senza che ciò comporti lo sfacelo della famiglia, ovviamente intesa come luogo dove ognuno dei componenti esplichi al meglio la propria personalità e persegua le proprie aspirazioni nel rispetto dell’altro, abbattendo quella mentalità anacronistica che vuole ancora la donna come angelo del focolare  subordinata al marito.

 

Avv. Rossana Caudulllo

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