“Il mio nome sulla tomba del mio bambino”: Roma, la denuncia di una donna dopo l’aborto

Dopo un’interruzione terapeutica di gravidanza la donna, pur avendo precisato di non volere né le esequie né la sepoltura del feto, ha saputo che era stato seppellito nel cimitero Flaminio con una croce su cui c’è il nome della madre.

Di Rossana Caudullo

Una storia surreale a raccontarla la diretta interessata in un post a cui affida la sua rabbia nell’aver scoperto che dopo un’interruzione terapeutica di gravidanza, nonostante non avesse scelto la sepoltura del feto, questo invece è stato sepolto nel cimitero Flaminio di Roma con una croce su cui è stato iscritto il nome della madre. Un post al quale la donna allega la foto, amara e macabra, della croce col sopra il suo nome e la data dell’interruzione di gravidanza.

Ogni donna, lo sancisce la legge 194 del 1978, ha il diritto di scegliere se e come portare avanti una gravidanza. E ogni donna che abortisce, a prescindere dalla ragione per cui lo fa, deve avere il diritto di decidere il destino del feto. Qualcuna potrebbe scegliere di seppellire il proprio feto. Ed è una decisione che va rispettata. Ma non può essere una procedura automatica e imposta a tutte, senza comunicazione, senza richiesta, senza consenso.

Perché questa diventa violenza!

E vedere il proprio nome stampato sulla croce di un feto è una evidente violazione della privacy. Come a dire a tutti: “La signora ha abortito”, ha commentato su Facebook la senatrice Pd Monica Cirinnà. Questo non è accettabile. Gli attacchi alla libertà delle donne riguardo alla scelta di diventare o non diventare madri arrivano ormai da ogni parte, continuamente. La Legge sull’aborto minata  da piccole, silenziose, ma insidiose procedure come questa A oltre 40 anni dall’affermazione della libertà di scelta delle donne, si sta tentando di rimettere tutto in discussione. 

Il diritto all’aborto sta subendo un’offensiva coordinata in tutta Europa, veicolata da campagne aggressive e generosamente finanziata da circoli ultra-conservatori. Dalla Spagna alla Francia, passando per l’Ungheria, la Polonia e l’Italia, arrivando fino Bruxelles, una nuova generazione di attivisti esperti nella comunicazione sta conducendo ovunque in Europa una “crociata” contro la libertà delle donne.

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