Codice rosso: cosa prevede e perché non ci aiuterà

Il Senato ha approvato il cosiddetto “Codice Rosso”, ovvero la nuova legge che stabilisce le misure atte a tutelare la donna dalle violenze perpetrate, in primis, tra le mura domestiche. Codice rosso dunque, come nel pronto soccorso, per stabilire una “corsia preferenziale” finalizzata a stroncare i reati considerati più gravi.

Vediamo allora cosa prevede.

Violenza sessuale – Rispetto a quelle attuali, le pene aumentano fino a 6-12 anni. La violenza viene adesso considerata aggravata nei casi di atti sessuali con minori di 14 anni a cui è stato promesso e/o consegnato denaro (o qualunque altra cosa ‘utile’). La vittima inoltre dovrà essere sentita dal pm entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato.

Stalking – Fino ad oggi era prevista la reclusione dai 6 mesi ai 5 anni. Adesso il minimo sarà un anno e il massimo 6 anni e sei mesi.

Sfregi – In casi di lesioni permanenti al viso fino a deformarne l’aspetto, il responsabile verrà punito con la reclusione da 8 a 14 anni. Se lo sfregio provoca la morte della vittima, il responsabile verrà condannato all’ergastolo.

Revenge porn – Stop alla pornovendetta. Chiunque invii, consegni, ceda, pubblichi o diffonda foto o video di organi sessuali o con contenuti sessualmente espliciti di una persona senza il suo consenso, può subire una condanna da uno a sei anni di carcere. Oltre ad una multa da 5mila a 15mila euro. Stessa pena per chi, dopo aver ricevuto o acquisito analoghe immagini, le invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso dell’interessato al fine di danneggiarlo. Aumento della pena nei casi di vendetta, ovvero se il reato è commesso da un coniuge (anche separato o divorziato) o da un ex.

Fin qui i contenuti, ma i giudizi non sono del tutto positivi in quanto si affronta il problema con interventi repressivi  e sembra, piuttosto, rispondere ad un’esigenza propagandistica. Se setacciamo il Codice Rosso, qualcosa di buono, comunque, lo troviamo: l’introduzione del reato di revenge porn e la violazione degli ordini di protezione, che diventa un reato procedibile d’ufficio ( solo in ambito penale ). Purtroppo, però, il nuovo ddl taglia del tutto fuori i centri antiviolenza, dimentica del tutto la prevenzione, che è il punto il vero punto della questione, e lo dimostra anche il caso  di Deborah, uccisa dall’ex che pure era stato in galera, senza mai aver dimenticato i suoi propositi di vendetta.

Nella relazione che anticipa il testo, contenuto sul sito del Senato, leggo che i fondi delle polizie andranno in gestione al Ministro dell’Interno che si occupa di sicurezza e di ordine pubblico. Se così è, allora si capisce perché tutto l’approccio sia sbagliato. Non si tratta di una questione di ordine pubblico, non parliamo di violenza di genere perché disturba il sonno dei vicini. Dovremmo preoccuparci di dare spazio alle donne per raccontarsi e non bastano tre giorni per forzarle a farlo. Le donne che subiscono violenza, come i centri antiviolenza sanno, non denunciano subito, hanno bisogno di tempo per elaborare quello che è accaduto. Questa legge, quindi, non offre sicurezza alle donne che denunciano e dimostrazione ne è il fatto che non si parli di case rifugio, di fondi per aiutare le donne a ricominciare in una città diversa e a non essere più rintracciate.

Personalmente, e da avvocato, dico che questa legge non serve. Non serve inasprire le pene se il processo dura troppi anni (in media sette o otto), non serve se il carcere non educa, non serve perché non si investe un euro per la formazione delle forze dell’ordine e del personale giudiziario, terribilmente necessaria perché la violenza contro le donne, di cui tutti parlano, è un fenomeno che in realtà pochi conoscono davvero.

E’ una legge frutto di una visione paternalistica, non è stato permesso di apportare delle modifiche (infatti, in Senato, il testo è stato blindato ed è arrivato in aula come era stato ricevuto dalla Camera). Non sono state accolte le critiche fatte in audizione dalle esperte, nemmeno le osservazioni della Commissione del Csm sul termine troppo rigido dei tre giorni, un automatismo che “rischia di creare un inutile disagio psicologico alla vittima e un appesantimento difficilmente gestibile per gli uffici giudiziari e le forze di polizia”.

Ciò che mi sembra ancora più incomprensibile è, infine, come armonizzare questa legge, per esempio, con la proposta Pillon, che obbliga le donne denuncianti ad avere a che fare con gli ex mariti per non incorrere in accuse e sanzioni sul mancato adempimento delle regole di affido.

La violenza di genere priva la donna del diritto alla propria autodeterminazione, quindi una delle questioni primarie che il Codice Rosso doveva trattare era quella della prevenzione. Purtroppo, hanno fatto un buco nell’acqua.

Avv. Rossana Cadullo

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