“Donne, non siete sole!”: intervista esclusiva al Questore di Ragusa, Giusy Agnello

In occasione del 25 novembre, Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza di genere, la Polizia di Stato ha reso noti i dati relativi ai femminicidi in Italia nel 2022.

61 i casi acclarati (erano 58 nello stesso periodo del 2021 e 62 nel 2020) ai quali vanno aggiunti quelli la cui matrice non è ancora certa e quelli consumati tra novembre e dicembre. I numeri sono pubblicati nel report relativo alla campagna permanente “Questo non è amore” e ci parlano di un fenomeno stabile, nella sua gravità, mentre sono in crescita i casi di violenza, stalking e maltrattamenti con 86 donne vittime ogni giorno in Italia. Nel 35% dei casi il maltrattante/stalker è la persona con cui si vive. Il 56% dei femminicidi del 2022 è stato commesso dal marito o convivente, il 13% dall’ex marito/ex convivente, il 12% dal fidanzato o ex.

Com’è possibile? Eppure forze dell’ordine, centri antiviolenza e associazioni ce la stanno mettendo tutta per arginare il problema e la società sembra aver preso consapevolezza del fenomeno, ma i reati aumentano invece di diminuire. Perché? Noi di Donne a Sud lo abbiamo chiesto ad una donna molto speciale, che da oltre 30 anni (quando ancora nemmeno si sapeva cosa fosse la violenza di genere) con coraggio e dedizione, si batte per la tutela delle vittime di violenza. Ragusa ha l’onore di averla come Questore (primo Questore donna) dalla fine del 2019: la dr.ssa Giusy Agnello. “I numeri salgono – ci spiega – perché finalmente sta emergendo il sommerso, grazie ad una maggiore presa di consapevolezza da parte delle donne, che, attraverso massicce campagne di sensibilizzazione, stanno trovando il coraggio di denunciare. Il maltrattante, però, ed è il rovescio della medaglia della comunicazione, finisce per cadere in un meccanismo di emulazione, e più sente parlare di uomini che hanno ucciso, ferito o maltrattato la propria donna, più pensa che anche lui può trovare la forza e il coraggio di andare fino in fondo. Ecco perché, come Questura, oltre che a tutela della donna, operiamo in maniera sistematica anche sui maltrattanti attraverso il “Protocollo Zeus”, che si propone di aiutare l’uomo a comprendere la gravità dei propri comportamenti, per non ripeterli”.

Cosa possono fare le forze dell’ordine e i centri antiviolenza per muovere un ulteriore passo in avanti?

“Non fermarsi, continuare a parlare e a lavorare per rafforzare la rete sempre di più. Sono sicura che il lavoro che oggi stiamo portando avanti nelle scuole, anche sui bambini di elementari e medie, darà i suoi frutti in futuro. Per questo, anche da Questore, cerco di andare nelle scuole il più possibile. I ragazzi ascoltano e recepiscono tutto, anche quando sembrano distratti. Naturalmente, con i più piccoli parliamo solo del rispetto che bisogna avere gli uni verso gli altri e nei confronti delle diversità reciproche, ma chiediamo ai dirigenti scolastici di far partecipare agli incontri anche gli insegnanti e i genitori degli alunni, e non di rado capita che in questo modo riusciamo ad individuare persone che hanno bisogno di parlare, denunciare, e che non sapevano a chi rivolgersi”.

Lei parla molto di rete territoriale. Chi manca, al suo interno, affinchè sia davvero efficace?

“Per contrastare la violenza di genere serve un approccio corale e multidisciplinare, la nostra azione non può prescindere da quelle delle associazioni e dei centri antiviolenza, ma all’interno della rete devono confluire anche i servizi sociali dei comuni. Il mio augurio è che la politica possa scendere in campo in tal senso, e che da Stato e Regione possano arrivare finanziamenti ad hoc per gli enti locali. Ci capita spesso di scontrarci con le difficoltà e le mancanze dei comuni, ad esempio quando c’è da rifugiare una donna vittima di violenza con i propri figli, che sono le vittime secondarie. Se la mamma viene uccisa e il papà va in carcere (ndr: cosa che, nel 2022, è successa nel 38% dei casi) è dovere di tutti noi, della società, dare la possibilità a questi bambini di avere una vita il più possibile normale”.

Stanza rosa in questura, codice rosa in ospedale, corsi di recupero per maltrattanti in carcere, talk show in tv e tanti articoli di giornale. Com’è possibile che ancora non si accetti che la donna non è un possesso dell’uomo, e che addirittura, in certi casi, questo diventi un boomerang, al punto che le donne diventano le peggiori nemiche di se stesse?

“Le leggi sono importanti, ma il fattore culturale è essenziale. Ogni realtà che opera nel sociale deve dare il proprio contributo affinchè la cultura di genere diventi diffusa e universalmente accettata, mentre noi viviamo ancora in una società in cui la donna in carriera è vista come quella cinica, che ha preferito il lavoro alla famiglia. Pochi si chiedono quanti sacrifici e quante rinunce fa, ogni giorno, una donna che lavora e che sceglie comunque di essere moglie e madre. Fondamentale, in tal senso, è avere una spalla complice ed intelligente. Se il marito/compagno è geloso o soffre di complessi di inferiorità, allora iniziano i problemi. Nella migliore delle ipotesi ci si lascia, nella peggiore scattano le pressioni e le violenze. Se a questo aggiungiamo che le donne, accecate dai sentimenti, spesso tendono a non riconoscere la violenza, appare chiaro perchè facciano fatica ad accettare che quell’amore così totalizzante in realtà sia un amore sbagliato, anzi, che non sia amore!”.

In una situazione del genere, quanto è importante il ruolo della famiglia?

“E’ fondamentale, ma a volte le famiglie (complici gli atavici retaggi patriarcali) tendono a non credere alla vittima o a minimizzare, e non fanno nulla per aiutare. La famiglia dev’essere la prima ad intervenire e a sostenere la donna. Se la famiglia non ti crede o non ti aiuta, ti senti persa, pensi che per te non ci sia speranza. Se la famiglia ti sostiene e ti protegge, senti che puoi fare qualunque cosa”.

Tanti anni al servizio della collettività. Qual è la sua esperienza sul campo?

“Ho iniziato ad occuparmi di violenza di genere ed educazione alla legalità molti anni fa, da dirigente dell’UPGSP della Questura di Catania. Dalle telefonate che arrivavano al 113 e dalle denunce che venivano presentate, mi sono resa conto che noi per primi dovevamo prepararci ed essere qualificati per rispondere correttamente alle richieste di aiuto. Ho sentito l’esigenza di agire, e grazie a due funzionarie civili del Ministero dell’interno, che erano anche assistenti sociali e componenti di un’associazione antiviolenza di Catania, ho letteralmente inventato la formazione per la Polizia di Stato, che ha coinvolto anche Carabinieri e Polizia Municipale. Ci siamo dovute scontrare con enormi tabù, ma col tempo quella di Catania è diventata una Questura Pilota e da lì a pochi anni venne imposto l’obbligo dell’aggiornamento professionale costante e capillare per tutti. In ultimo, da qualche anno, possiamo contare anche sulla Piattaforma Scudo, che consente l’inserimento e la consultazione dei dati in uso alle Forze dell’ordine (anche nei casi in cui non sia stata presentata denuncia o querela) per agevolare ed ottimizzare gli interventi in caso di lite in famiglia”.

C’è una storia che l’ha segnata particolarmente?

“Ce ne sono tante, ma ricordo bene quella di una donna di Catania che conviveva con un uomo agli arresti domiciliari che la schiavizzava, la teneva prigioniera e la sottoponeva a violenze di ogni genere. Un giorno, non sapendo più come fare per chiedere aiuto, si è chiusa in bagno e ha scritto un bigliettino che, di nascosto, con la scusa di stendere il bucato, ha fatto cadere nel balcone della famiglia al piano di sotto. Per fortuna, erano persone per bene che non si sono voltate dall’altra parte, hanno capito la situazione e ci hanno chiamati, così abbiamo potuto studiare una strategia di intervento per liberarla. Se non l’avessimo fatto, probabilmente oggi conteremmo un femminicidio in più. Invece, per lei si è aperta la porta della speranza”.

Questa donna ha affidato la sua disperata richiesta di aiuto ad un bigliettino, ma oggi chiunque può farlo attraverso l’app Youpol, realizzata dalla Polizia di Stato per segnalare episodi di spaccio e bullismo, ed estesa anche ai reati di violenza domestica (nel primo semestre del 2022 le segnalazione di questo tipo sono state il 15% del totale). Denunciare è l’inizio di un cammino difficile, ma necessario per tornare a vivere libere dalla violenza e dalla paura. Le forze dell’ordine (e anche i centri antiviolenza come quello di Donne a Sud) sono al fianco delle vittime, che non devono sentirsi sole, anche perché il maltrattante sarà trattato alla stregua di un sorvegliato speciale, sottoposto alle medesime misure di prevenzione e agli stessi controlli (in alcuni casi anche il braccialetto elettronico).

Noi di Donne a Sud ringraziamo il Questore di Ragusa, dr.ssa Giusy Agnello, per la disponibilità e per questa intervista esclusiva, che chiudiamo con un video di auguri che la stessa dr.ssa Agnello, essendo giunti alla fine del 2022, ha voluto dedicare a chi vive situazioni di malessere, disagio e violenza, affinchè il 2023 sia l’anno del riscatto e della rinascita!

 

Valentina Frasca – Giornalista

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