L’autostima: cos’è e perchè manca nelle storie dei violenti o delle vittime di violenza

Davanti alla storia di una donna vittima di violenza, le domande che sorgono più spesso sono: “Perchè è arrivata a questo punto? Perchè ha preferito subire? Perchè non ha trovato subito il coraggio di reagire? Perchè l’uomo arriva a tanto?”. 

Purtroppo, una risposta comune che possa essere collegata a tutte queste domande non esiste.
Ogni persona nasce, cresce e vive in un ambiente diverso, fatto di esperienze personali, sensazioni, sentimenti e soprattutto da una coppia di genitori che, a loro volta, sono nati e cresciuti in altrettanti ambienti differenti l’uno dall’altro. Dunque, ognuno ha la propria storia personale, il proprio carattere, e non tutti sviluppiamo allo stesso modo il nostro Io, fino ad arrivare alla vita adulta.

Ma c’è un fattore che, la maggior parte delle volte, può essere coinvolto nelle varie scelte che ognuno fa per sè e, nel caso della donna vittima di violenza, questo fattore può compromettere le sue decisioni nell’affrontare la situazione e nel denunciare: si tratta dell’autostima.

Quest’ultima rappresenta la stima che ognuno di noi ha di sè stesso, il valore che si riconosce. L’autostima è caratterizzata dal temperamento di ognuno (DNA), dalle proprie influenze ambientali e infine dal libero arbitrio, ovvero dalle libere interpretazioni che, sin da bambini, si danno alle varie situazioni. L’autostima, quindi, non si riceve per via ereditaria, ma è un processo che inizia dall’età dello sviluppo. Così, il modo in cui il bambino viene trattato dal mondo esterno va ad instaurarsi al suo interno, e lui penserà di meritare ciò che gli si viene fatto e detto, nel bene e nel male. Quando l’ambiente esterno non offre una qualità della vita sufficiente o ottimale al bambino, ecco che l’autostima viene attaccata.

Un bambino che cresce e si sviluppa in un ambiente precario sotto molti punti di vista, automaticamente non svilupperà le proprie capacità e abilità. Chi contribuisce a queste privazioni sono, senza dubbio, i genitori o chi per loro. Questi ultimi hanno il delicatissimo compito di aiutare il bambino a sviluppare un’autostima sana, attraverso la scoperta delle proprie capacità, e inoltre devono essere un porto sicuro in cui il bambino potrà tornare ogni volta che si sente in pericolo. Quando questo non avviene, nella crescita del bambino possono insorgere degli atteggiamenti svalutanti e antisociali nei propri confronti ma soprattutto nei confronti degli altri.

Chi cresce con un attaccamento insicuro o nullo nei confronti dei propri genitori, a causa di molteplici fattori come maltrattamenti, abusi o dipendenze, potrà essere colui che, in età adulta, adotterà atteggiamenti violenti nei confronti della propria donna e persino dei figli, nonchè verso la società circostante. Colei che cresce nel medesimo ambiente, allo stesso modo, in età adulta potrebbe introiettarsi in una donna che pensa di meritare ciò che di male le viene fatto oppure, invece che diventare vittima, potrebbe divenire carnefice delle proprie azioni antisociali e aggressive.

Ecco allora che l’autostima, la consapevolezza del proprio Sè, l’educazione da parte del genitore o di chi ne fa le veci, l’integrazione, la sensibilità, l’umanità e il rispetto nei propri confronti e nei confronti degli altri, diventano caratterizzanti per evitare che l’uomo possa attuare determinate azioni violente e per far sì che la donna possa essere consapevole del suo valore e dei suoi diritti, senza accettare mai abusi e violenze varie.

Per concludere, una piccola riflessione su tutti coloro che sono genitori, da tanto o da poco, o che lo saranno presto o in futuro. Essere genitori non è facile, ma ciò che renderà il tutto un po’ meno faticoso sarà il vedere la propria creazione diventare un capolavoro. E per far sì che i figli diventino dei capolavori, è importante insegnare loro, mostrandogliele in prima persona, le fondamenta su cui costruire relazioni sane e realizzarsi come soggetti autonomi e indipendenti.

Lisa D’Agosta, laureanda in Psicologia

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