Quando una rivolta contro il velo diventa una rivolta contro la dittatura

LA VOCE DELLE DONNE vuole essere la voce delle donne iraniane perché, se pur distanti geograficamente, non lo sono dal nostro cuore e dalle nostre menti.

Altre volte abbiamo raccontato la vita e le storie delle donne afghane o iraniane le cui vite sono controllate, la cui libertà è repressa da un regime politico che ha reso il loro corpo uno strumento di propaganda politica per giustificare e rafforzare un potere esclusivamente maschile, da cui le donne devono farsi comandare e giudicare.

I capelli sono la punta di un iceberg, naturalmente, perché in Iran le donne non possono cantare, andare in bicicletta, nuotare, divorziare, entrare in uno stadio. Non possono neanche studiare se un maschio di casa decide così. E’ contro tutto questo che tante donne si sono tagliate i capelli.

Per tutto questo che Mahsa e Najafi sono morte.

La politica iraniana è illiberale per tutte le persone che vivono nel Paese, il dissenso politico è represso col sangue, la pena di morte viene applicata in maniera arbitraria e nelle carceri si verificano molti casi di tortura. Giornalisti, attivisti e sindacalisti invisi al regime, a volte anche stranieri o con doppia cittadinanza, sono imprigionati da anni senza godere dei propri diritti. In questo contesto, il controllo dei corpi delle donne diventa catalizzatore di tutte le politiche di repressione, una specie di promemoria costante.

Dando inizio alla rivolta, le iraniane si sono sottratte a questo controllo.

Le proteste sono iniziate nella città curda di Saqqez, la città natale di Mahsa Amini.

Morta non perché non indossava l’hijab, come prevede la legge iraniana, o perché aveva abiti che rivelavano il corpo, ma semplicemente perché alcune ciocche di capelli fuoriuscivano dal velo. E’ stata arrestata dagli agenti della “polizia della moralità” (una specie di Santa Inquisizione ) che l’ha pestata a sangue.

Amini è morta il giorno successivo al pestaggio, ma le immagini della sua degenza sono bastate a incendiare la protesta, prima che Internet venisse oscurato. A condurla le donne che si sono liberate dal velo, spesso tagliandosi anche i capelli con un gesto fortemente simbolico. Ovunque, nei giorni scorsi, abbiamo visto video immagini di gente che scappava dall’Iran, nel panico. Abbiamo visto i poliziotti armati, abbiamo sentito le urla e il rumore di spari. Poi a morire, uccisa da 6 proiettili, è stata Hadis.

Da allora, tantissime donne e ragazze, non solo in Iran ma in tutto il mondo, hanno cominciato a tagliarsi i capelli da sole in segno di protesta e, man mano, il gesto è stato ripreso anche da star del cinema e della tv, che così hanno dimostrato la loro vicinanza e la loro solidarietà al popolo iraniano. Finché tutto non è trasceso e la situazione è esplosa con ferocia.

Le rivolte contro il regime nel paese proseguono da anni, ma questa rivolta ha qualcosa di eccezionale. Uno degli aspetti nuovi, ha commentato la giornalista e attivista iraniano-statunitense Masih Alinejad, è che «questa è la prima volta che queste ragazze non sono sole. Ora gli uomini stanno con loro».

La morte di Amini è stata definita un “femminicidio” e il risultato delle sistematiche «politiche femminicide» del regime iraniano, che governa in maniera autoritaria il paese ed è guidato da religiosi sciiti.

Molti si sono uniti alle proteste anche a causa della povertà imperante nel paese messo a dura prova dalle sanzioni internazionali.

C’è qualcosa di nuovo in queste proteste: il Governo ha sì risposto con grande severità, ma in passato aveva subito messo in campo le Guardie Rivoluzionarie, un corpo dell’esercito fondato dall’Ayatollah Ruhollah Khomeini particolarmente violento, che ha il preciso compito di sopprimere il dissenso contro il regime. La morte di Mahsa Amini, anche grazie alla risonanza internazionale, ha messo in discussione l’inscalfibilità del regime e proprio il fatto che siano le donne ad aver scatenato la rivolta è particolarmente significativo.

Il nostro grido di condanna si alza forte e chiaro! Quello che sta accadendo in Iran ci obbliga ad una riflessione sui nostri diritti che dobbiamo tenere stretti e difendere come  un bene prezioso, perché non sono così scontati.

 

Rossana Caudullo – Avvocata

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